Discepole del Vangelo

Commento di Charles al Vangelo per la solennità di Tutti i Santi e la commemorazione dei defunti

1 novembre e 2 novembre

«Gesù vedendo la folla, salì su una montagna, si sedette e i suoi discepoli lo circondarono. Parlando, si mise ad istruirli, dicendo: …» [5.1-2]

Istruisco non solamente i miei discepoli, ma la folla… La montagna delle Beatitudini è una collina circondata da un altopiano che può contenere una folla numerosa; ad un’estremità dell’altopiano vi è una piccola altura che forma una tribuna naturale. Seduto lì in mezzo agli apostoli, e vedendo davanti a me tutta la folla seduta sul resto dell’altopiano, parlo a tutti riuniti.

«Beati i poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli.» [5.3]

Ah, mio Signore, spiegami questo, te ne prego. Spiegami queste beatitudini che hanno un’importanza così grande nella tua dottrina, queste beatitudini che è così necessario conoscere bene per imitarti, poiché formano come uno specchio dove Ti rifletti. … Tutte le perfezioni che esse esprimono Tu le possiedi sovranamente. Per imitarti è necessario possederle il più possibile. Fammele dunque conoscere bene, mio Signore. Te lo domando, stretto a Te, ascoltandoTi e guardandoTi, tenendomi ai tuoi piedi tra la S.ta Vergine e S. Giuseppe, durante questi giorni molto dolci di ritiro. …

I poveri di spirito sono coloro che hanno l’anima, lo spirito distaccato, spogliato, nudo, vuoto, libero, sgombro, povero, privo di ogni amore per il creato, di ogni amore per ciò che non è Dio, che hanno, in altri termini, lo spirito, l’anima, morto, crocifisso a tutto il creato, a tutto ciò che non è Dio, in una parola che sono assolutamente vuoti da ogni attaccamento al creato. …

Li proclamo beati, perché soddisfano la condizione indispensabile per possedere il cielo; non si può possedere il cielo, senza adempiere tutti i propri doveri; il primo dovere è di amare Dio con tutto il proprio cuore, e l’adempimento di questo primo dovere è possibile solo a condizione di avere il cuore vuoto da tutto ciò che non è Dio. Per donare tutto il proprio cuore a Dio, è necessario evidentemente non darlo a nulla di ciò che non è Dio, riservarGlielo interamente, tenerlo completamente vuoto da tutto ciò che non è Lui. Prima di entrare in cielo, occorre necessariamente che ogni anima compia questo primo dovere di svuotarsi, staccarsi, spogliarsi, privarsi di ogni altro amore che l’amore di Dio, e riempirsi interamente, tutto intero del solo amore di Dio. Se non compie questo primo dovere sulla terra, dovrà compierlo in purgatorio. Beati coloro che lo compiono fin da questa vita, poiché a loro fin dalla loro morte appartiene «il regno dei cieli» e in questa stessa vita l’unione intima con Dio che Questi dona loro come ricompensa del loro perfetto amore, è per essi come un cielo anticipato, e fa della loro vita mortale, non appena si sono donati totalmente a Dio, svuotandosi, impoverendosi interiormente di ogni attaccamento da ciò che non è Lui, come un’aurora, un inizio della vita celeste e del «regno dei cieli». Mio Dio, la povertà esteriore ci è comandata da questa parola? – No, io parlo qui solo del distacco interiore, della povertà di spirito; anche la povertà esteriore è necessaria per condurre la vita perfetta sulla terra, poiché sono stato povero nelle tre vite di cui ho dato l’esempio; ma non è qui che ne do il precetto: lo raccomanderò in numerosi altri passaggi. … La povertà di spirito non obbliga alla povertà esteriore, poiché si possono possedere dei beni pur essendo perfettamente staccati da essi; è differente in molti punti dalla povertà materiale, e soprattutto per il fatto che questa volge solo ai beni materiali, mentre la povertà interiore, spirituale¸ la libertà di spirito, la povertà di spirito, volge non solamente ai beni temporali, ma anche a tutti i beni sensibili, al prossimo e a se stessi. Essere povero esteriormente è sbarazzarsi dell’oro e dell’argento; essere povero interiormente, è non avere più alcun amore per ciò che è creato, oro, argento, corpo, anime, grazie spirituali, tutto ciò che non è Dio insomma (salvo l’amore che Dio stesso ordina di avere; e ordina di averne uno molto ardente sia per la tua anima, sia per il prossimo). Ma poiché questi amori non li hai che nella misura in cui Dio te li ordina, perché te li ordina e sei pronto a lasciarli se te li vietasse, in una parola, poiché tu non li hai che in vista di Lui, scompaiono nel suo, sono compresi nel suo, avvolti nel suo, racchiusi nel suo ed è verissimo dire (benché tu ami la tua anima e il prossimo molto profondamente) che sei totalmente vuoto da ogni amore per te, per il prossimo e per tutto il creato e che sei totalmente pieno del solo amore di Dio.[1]

«Chiunque crede nel Figlio abbia la vita eterna».

Come sei buono, mio Dio! Ci dai ancora uno di questi principi generali adatti a dirigere tutta la nostra vita, e adatti a condurci verso questo scopo di tutte le tue parole e di tutti i tuoi esempi, verso questo fuoco che vuoi accendere in noi, verso questo amore di Dio che vuoi stabilire in noi… «Credete, dici, e questo basta!». Credete con lo spirito e con le opere… Ascoltate la Chiesa, fate quello che vi dice, è lì la fede… Credere nel profondo dell’anima all’insegnamento divino, senza farlo, sarebbe non onorare Dio, ma insultarlo, non obbedire, ma disobbedire. Più la fede interiore fosse viva, se l’obbedienza esteriore non vi fosse conforme, più l’ingiuria fatta a Dio sarebbe grave; sarebbe dire: sì, credo, credo fermamente, credo con una fermezza assoluta che vuoi questo, ma non lo faccio affatto… La fede si riconduce dunque all’obbedienza, all’obbedienza che per sua natura è indissolubilmente legata all’amore, all’obbedienza della quale Nostro Signore ha detto: «Chi obbedisce alle mie parole, questi mi ama».

Ascoltiamo, crediamo negli insegnamenti della Chiesa, di Dio, di coloro ai quali Dio ha detto: «Chi ascolta voi, ascolta me». Crediamo a tutto ciò che Dio ci dice con i diversi mezzi di cui si serve per istruirci… E obbediamo alla sua volontà una volta che la conosciamo… Quale più grande felicità per il cuore che ama, se non conoscere la volontà di colui che egli ama! Quale più grande felicità se non farla!… Con quale cura dobbiamo sempre sforzarci di conoscere la volontà del Beneamato e farla una volta che la sappiamo[2]!


[1] Traduzione a cura delle Discepole del Vangelo.

[2] M/487, su Gv 14,16-21, in C. de Foucauld, L’imitation du Bien-Aimé, 165;  tr. it., “Stabilirci nell’amore di Dio…”. Meditazioni sul vangelo di Giovanni, ed. A. Fraccaro, Glossa, Milano 2009, 55-57.