Discepole del Vangelo

Commento di Charles al Vangelo di domenica 2 luglio – Mt 10,37-42

XIII domenica del Tempo Ordinario – anno A

Poiché non abbiamo il Commento di Charles de Foucauld al capitolo 10 del Vangelo di Matteo, proponiamo un commento al vangelo parallelo in Lc 14,26-27

«Se qualcuno non odia suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i suoi fratelli, le sue sorelle e se stesso, non può essere mio discepolo».

Questo vuol dire: se qualcuno non mi preferisce a…, se qualcuno non è pronto ad abbandonare per me… se qualcuno non è pronto a sacrificare per me… suo padre, ecc., non può essere mio discepolo. Come sei buono, mio Dio, come sei soavemente, divinamente buono! Puoi, tu che sei Dio, o mio Onnipotente e Beneamato Signore, farci un comandamento più dolce, più tenero, più caro, per un cuore che ti ama, se non ordinargli di preferirti a tutto, di essere pronto ad abbandonare tutto, tutto sacrificare per te?.. Puoi fare alla tua povera creatura un comandamento più soave di dirgli di svuotare il proprio cuore di tutto ciò che non sei tu, di spogliarsi di ogni attaccamento a quello che non sei tu, di darti il suo cuore tutto intero, senza riserve e senza divisione! Mio Dio, quale comandamento ineffabilmente dolce! Come sei buono! E come siamo felici!

Preferiamo Nostro Signore a tutto… siamo pronti ad abbandonare tutto su una sua parola, come san Pietro e i figli di Zebedeo. Siamo pronti a sacrificargli tutto, come la santa Vergine offre a Dio suo figlio, accettando il sacrificio della croce, come Abramo sacrificava Isacco. Non è che non bisogna amare i propri figli: la Santa Vergine amava Nostro Signore infinitamente, Abramo amava Isacco, ma bisogna amare Dio sopra tutto e fare quello che domanda, qualunque cosa sia… Di più, non bisogna amare le creature che per Dio, in vista di Dio, perché Dio lo ordina: senza dubbio, bisogna amare i propri genitori, i propri figli, i propri amici, e tutti gli uomini, «amatevi gli uni gli altri, è così che si vedrà che siete miei discepoli»[1], ma bisogna amarli non per loro, ma per Dio, non perché sembrano amabili, ma perché Dio ordina di amarli; non bisogna dare a Dio i ¾ o i 9/10 del proprio cuore, e riservare il resto per le creature; no, no, no: non c’è paragone tra Dio e le creature; dargli dei compagni, è fargli un’ingiuria; ammettere nel nostro cuore altri che lui allo stesso titolo suo, e dargli per così dire degli uguali, è insultarlo. Nulla è uguale a Dio: «Chi è come Dio?»[2]; bisogna a Dio tutto il nostro cuore, i 4/4, i 10/10… Lui solo deve riempirlo tutto intero. In verità, ameremo anche le creature e le ameremo tanto più quanto più ameremo Dio; ma non le ameremo per loro, le ameremo per Dio; questo amore non sarà né separato, né diverso da quello di Dio; non verrà da noi: uscirà dall’amore di Dio, verrà da lui: ci sarà ispirato da lui, dato da lui come un dono, come una virtù, di cui ci fa grazie, dopo che noi l’abbiamo messo solo in possesso di tutto il nostro cuore. Una volta che è là, solo regnante come Maestro Sovrano, senza rivali e senza ostacoli, fa grazia all’anima che si è così data tutta, tutta intera a lui, di virtù e di doni; le dona l’umiltà, il coraggio, la forza, i doni dello Spirito Santo, le dona anche l’amore del prossimo, «ordina in lei la carità». Mio Signore e mio Dio, fammi la grazia di ben svuotare il mio cuore da ogni creatura, e soprattutto da me stesso, e di dartelo tutto intero, ben vuoto di tutto quello che non sei tu; e poi in seguito compi la tua opera nel tuo servitore come ti piacerà!


[1] Cfr. Gv 13,34-35.

[2] È il significato del nome dell’arcangelo Michele.

(Traduzione a cura delle Discepole del Vangelo)