Sedicesima domenica del Tempo Ordinario B
Come sei buono, mio Dio, hai pietà di questi uomini, perché sono come delle «pecore senza pastore»… Oh! Com’è vero e come siamo pecore senza pastore quando non ci stringiamo, obbedienti, attorno a Te! Come sei buono, mio Dio, ad aver pietà di noi!… Il Tuo amore, la Tua pietà si traducono in due atti e annunciano un terzo beneficio ineffabile: per prima cosa dai il nutrimento alle anime di queste povere pecore, insegnando loro molte cose, poi, avendo ancora pietà dei loro corpi, le nutri di pane e di pesce… E questi benefici non sono che l’inizio degli effetti del Tuo Amore, mio Dio; il pane che moltiplichi per nutrire questa folla è figura della Santa Eucaristia, di questo mistero per il quale ci ami «fino alla fine»[1], senza fine, donandoci come nutrimento Te stesso tutto intero, Dio tutto intero, Gesù Uomo-Dio tutto intero! Oh! Mio Dio, come sei divinamente buono!
Abbiamo pietà degli uomini, siamo teneri, abbiamo pietà alla vista di tutti i loro bisogni; facciamo tutto il bene alle loro anime e ai loro corpi; la nostra carità sia operosa come quella di Gesù,… non si riduca a sentimenti, a una pietà interiore, né a parole, ma si traduca in azioni e queste azioni non abbiano altri limiti che la volontà di Dio, volontà che possiamo sempre conoscere attraverso il nostro direttore spirituale… Siamo riconoscenti senza fine a Dio per il dono con il quale ci ama senza fine, Egli si dona a noi senza fine, abbandonandosi, affidandosi così completamente a noi, noi ai quali tanti uomini non si consegnerebbero; sposandoci, donandosi a noi così completamente, noi che tanti mortali troverebbero indegni della loro unione; donandoci, sin da quaggiù, ciò che fa la felicità degli eletti, la felicità di Dio stesso, Dio tutto intero, a noi peccatori… Non perdiamo mai per colpa nostra né una comunione, né un momento di presenza presso il Tabernacolo… Non è più il finito, qui, è l’infinito… Nulla di creato, mille universi come questo sono solo un nulla accanto alla grazia, al favore che c’è nell’essere un solo istante ai piedi del Tabernacolo, molto più ancora, nel ricevere la divina Ostia. È Dio, è tutto: tutto il resto non è che creatura, cioè niente[2].
[1] Gv 13,1.
[2] M/202, su Mc 6,33-44, in C. de Foucauld, Fammi cominciare una nuova vita. Meditazioni sui Vangeli secondo Matteo e Marco, Centro Ambrosiano, Milano 2024, 192-194.