Discepole del Vangelo

Commento di Charles al Vangelo di domenica 30 marzo – Lc 15,1-3.11-32

IV domenica di Quaresima C

«Correndogli incontro, gli si gettò al collo e lo abbracciò… Portate la sua prima tunica, dategli un anello e dei calzari e uccidete il vitello grasso…».

Mio Dio, come sei buono! È quello che hai fatto per me! Sì, da giovane, sono andato lontano da te, lontano dalla Tua Casa, dai Tuoi Santi Altari, dalla Tua Chiesa, in un paese lontano, il paese delle cose profane, delle creature, dell’incredulità, dell’indifferenza, delle passioni terrene… oh! come è dolorosamente lontano da te quel paese! Ci sono rimasto a lungo, tredici anni, dissipando la mia giovinezza nel peccato e nella follia[1]… La tua prima grazia (non la prima della mia vita, ma quella nella quale vedo come la prima alba della mia conversione), è di avermi fatto provare la carestia… carestia materiale e spirituale; hai avuto la bontà infinita di mettermi in difficoltà materiali che mi hanno fatto soffrire e mi hanno fatto trovare delle spine in questa folle vita; mi hai fatto provare la carestia spirituale facendomi provare desideri intimi di un migliore stato morale, il gusto della virtù, bisogni di bene morale; e poi, quando sono tornato verso di te, molto timidamente, a tentoni, facendoti questa strana preghiera: «Se esisti, fa’ che ti conosca», o Dio di bontà che non hai smesso di agire dalla mia nascita in me e attorno a me per portare a questo momento, con quale tenerezza, «correndomi subito incontro, ti sei gettato al mio collo, mi hai abbracciato»; con quale sollecitudine mi hai reso la tunica di innocenza… E a quale divino banchetto, ben altro da quello del padre del figlio prodigo mi hai invitato subito… Come è buono questo Padre del figlio prodigo! Ma come sei mille volte più tenero di lui! Come hai fatto mille volte di più per me di quanto lui non abbia fatto per suo figlio! Come sei buono, mio Signore e mio Dio! Grazie, grazie, grazie, senza fine grazie…

Figlio prodigo, non soltanto ricevuto con una così ineffabile bontà, senza punizione, senza rimprovero, senza nessun ricordo del passato, ma con dei baci, la prima tunica e l’anello di figlio della casa, non soltanto ricevuto così, ma cercato da questo Padre benedetto e riportato da lui da questi paesi lontani, quali sono i miei doveri verso questo Padre Beneamato! In primo luogo amarlo, poi amarlo e infine ancora amarlo, poiché amare comprende tutto. Amare comprende l’obbedienza; amare comprende l’imitazione di tutto ciò che si vede fare da lui e che permette che imitiamo; amare comprende una continua Contemplazione; amare comprende il pentimento delle colpe commesse contro di lui; amare comprende l’umiltà alla vista della distanza che separa la nostra miseria dalla sua perfezione; amare comprende lo zelo nel compiere tutte le opere utili al suo servizio e conformi alla Sua volontà; amare comprende l’impegno continuo a essere e a fare continuamente ciò che gli è più gradito… E sicuramente una delle cose che gli sono più gradite è che ci mostriamo teneri come lo è stato lui, verso i nostri fratelli minori prodighi a loro volta, che li cerchiamo come egli ha cercato noi, entrando nella Sua opera con le nostre preghiere sempre, e con tutti gli altri mezzi in nostro potere tanto quanto ce ne dà la missione… non solamente che li cerchiamo, ma che, sia nelle nostre preghiere, sia nelle altre nostre opere dirette a questo scopo, mettiamo uno zelo pressoché infinito, uno zelo infinito addirittura, per quanto è possibile a degli uomini, poiché non è per delle creature che lavoriamo, è per Dio: è per compiere quest’opera di una sola conversione, che gli è così gradita, che il cielo si rallegra di più che della perseveranza dei 99 giusti; è per compiere quest’opera, che gli è così gradita, che dice: «Conviene rallegrarsi, poiché tuo fratello era morto ed ecco che vive». È per compiere quest’opera che gli è così gradita che ci ordina di chiedere, non condizionalmente ma formalmente, il buon esito a suo Padre, facendoci dire: «sia santificato il tuo Nome… venga il tuo regno… sia fatta la tua volontà sulla terra come in cielo!…». E poi quando il nostro piccolo fratello prodigo rientra al focolare occorre riceverlo come nostro Padre lo riceve, come nostro Padre ha ricevuto noi stessi, senza tornare sul passato, senza rimprovero, senza sfiducia per l’avvenire, dicendo: «Ma sono sicuro che andrà in cielo» (questa parola che mi ha fatto tanto bene!), mostrandogli la stessa fiducia, lo stesso affetto, la stessa tenerezza, la stessa stima come se non fosse mai uscito dalla casa, con questa dimenticanza completa delle sue colpe che abbiamo bisogno che Dio abbia per noi, con questo sentimento che le sue colpe, non nascoste, non coperte, ma radicalmente distrutte con la confessione, sono anche radicalmente distrutte per noi; che l’unica, l’unica traccia del passato che appare in noi sia la gioia profonda e traboccante del ritorno, la gioia che si manifesta correndogli incontro, gettandoci al suo collo, rendendogli il suo primo vestito, il suo primo posto, uccidendo il vitello grasso, chiamando i nostri amici a rallegrarsi con noi, facendo in questo giorno festa sulla terra, come c’è «festa nei cieli».[2]


[1] Charles de Foucauld fa memoria della sua giovinezza disordinata dal 1873 al 1886. Sono gli anni del liceo, di Saint Cyr, del servizio militare e dell’esplorazione del Marocco.

[2] M/382, su Lc 15,11-32, in C. de Foucauld, Cerco i miei amici tra i piccoli. Meditazioni sul Vangelo secondo Luca, Centro Ambrosiano, Milano 2024, 226-229.piccoli. Meditazioni sul Vangelo secondo Luca, Centro Ambrosiano, Milano 2024, 149-150.