Discepole del Vangelo

Commento di Charles al Vangelo di domenica 7 maggio – Gv 14,1-12

V Domenica di Pasqua – anno A

«Io sono la via, la verità e la vita… Nessuno viene al Padre mio se non per mezzo di me»

Come sei buono, mio Dio! Come tutte le tue parole, in queste ore più che mai estreme, se possibile, tendono ad «accendere sulla terra questo fuoco» dell’amore di Dio, che «sei venuto a portare in essa» e che il tuo solo desiderio è di vedere che si accenda: «Che cosa voglio, se non che si accenda?». Ci stabilisci qui nel tuo amore con una forza divina gettandoci nell’imitazione di colui che è la sola «via», nella fede, nella vita di fede, cioè nell’obbedienza a colui che è la sola «verità», nella partecipazione alla santa Eucaristia, con la quale ci uniamo a colui che è la sola «vita»… Quanto l’imitazione indissolubilmente unita all’amore (quando l’amore si rivolge a Dio), quanto l’obbedienza indissolubilmente unita all’amore (quando l’amore si rivolge a Dio), quanto la santa Eucaristia che è Dio stesso, cioè «l’amore» stesso («Deus est charitas»), ci dispongono all’amore, ci stabiliscono in esso e nello stesso tempo ci confermano in esso, evidentemente… Come sei buono, mio Dio, ad avere come solo desiderio di darci la sola cosa nella quale consiste tutta la nostra felicità in questa vita e nell’altra, quella che fa del cielo il cielo, e quella che farebbe della terra il cielo se potessimo riceverla pienamente quaggiù: questa sola cosa, «l’unica necessaria», è di amarti, o Gesù! Imitiamo Gesù, sola «via»… Per quanto poco lo amiamo, come ci sarebbe facile: l’amore ha sete di imitare, ne ha bisogno, cerca per sua natura di identificarsi col Beneamato, di stringersi a lui al punto da fare una cosa sola con lui: non essendo possibile quaggiù questa unificazione, questa identificazione, questa perdita totale nel Beneamato, questo assorbimento di chi ama nel Beneamato, l’anima si getta con tutte le sue forze nell’imitazione, mezzo di unificazione inferiore, incompleto, primo grado soltanto, ma il solo possibile quaggiù, dell’unificazione che è il fine dell’amore e che non si realizzerà perfettamente se non in cielo (non si tratta qui se non dell’amore divino, il solo che possa essere l’amore perfetto, il solo che possa e debba lasciarsi andare a seguire questo bisogno di imitazione totale che è nella natura dell’amore, perché solo si rivolge ad un Essere perfetto)… Obbediamo a Gesù, sola «verità»… Per quanto poco lo amiamo, questo ci sarà facile: l’amore ha sete di obbedire; (nell’amore umano, esso non deve sempre lasciarsi andare a questa sete di obbedire, né alla sete di imitare, a causa delle imperfezioni di ogni creatura: ma nell’amore divino, il solo che possa essere l’amore perfetto, poiché l’amore si rivolge ad un essere infallibile e perfetto, può e deve lasciarsi andare a seguire questo bisogno di obbedire al Beneamato che fa necessariamente parte dell’amore, per la natura stessa dell’amore); l’amore ha sete di adorare, di prostrarsi, di annientarsi ai piedi del Beneamato; ha sete di donarsi, di mettere ai piedi del Beneamato tutto ciò che ha e tutto ciò che è: questo annientamento, come questo dono totale di sé, contengono la perfetta obbedienza; l’amore prova un bisogno irresistibile di cessare di essere, di non esistere più per sé, di fondersi e di perdersi nel Beneamato, che, ai suoi occhi, è la sola cosa esistente nell’universo, e fuori dal quale tutto gli sembra il nulla. La perfetta obbedienza è racchiusa in questo assorbimento, in questa perdita di tutto l’essere, in questo sprofondamento, in questa cessazione di ogni vita personale per perdersi e fondersi nell’esistenza del Beneamato: l’amore ama tutto, approva tutto, ammira tutto nel Beneamato, e non ama niente, non approva niente, non ammira niente al di fuori del Beneamato; da ciò segue che tutto ciò che dice, pensa, fa il Beneamato, gli appare come il solo bene, la sola cosa perfetta, e come ciò che è più perfetto, il più perfetto possibile, il divino. La perfetta obbedienza segue necessariamente una tale fede nella perfezione superiore, incomparabile, divina, di tutte le volontà, di tutti i pensieri, di tutti gli ordini, di tutte le parole, di tutti gli esempi del Beneamato… Riceviamo nella santa Eucaristia Gesù, sola «vita»… «Chi mangia me, vive per me»… «Chi mangia di questo pane vive eternamente»… «Chi mangia il mio corpo ha la vita eterna»… «Chi mangia il mio corpo dimora in me e io in lui»… «Chi mangia questo pane vive eternamente»… «Se non mangiate la carne del Figlio dell’Uomo, non avrete la vita in voi»… Riceviamo Gesù nostra «vita», il più spesso possibile per quanto dipenderà da noi, riceviamo il nostro Beneamato preparando nel miglior modo possibile la nostra anima alla sua visita; riceviamolo facendogli la miglior accoglienza possibile, come si riceve il Beneamato non solamente che viene a noi, ma che viene in noi, e si dona, si consegna, si abbandona per essere totalmente posseduto da noi.

(Traduzione a cura delle Discepole del Vangelo)