Discepole del Vangelo

Commento di Charles al Vangelo di domenica 9 marzo – Lc 4,1-13

I domenica di Quaresima C

Digiuno e tentazione di Nostro Signore nel deserto.

Come sei buono, mio Dio, ad aver patito per noi tante sofferenze e tanti abbassamenti… Durante la Santa Quarantena, hai sofferto per noi la fame, la sete, il freddo, la fatica, la debolezza, hai sofferto nella tua anima al pensiero della Santa Vergine privata della tua presenza, che soffre perché non Ti vede e pensa che soffri, hai sofferto tutti i dolori, tutte le colpe, tutti i mali degli uomini di oggi e di domani, poiché li ami tutti… Ti sei abbassato fino a permettere al demonio di tentarti, forse di toccarti!… Tutto questo per noi, o mio Dio! Per Dio in primo luogo, senza dubbio: per glorificare Dio con la tua obbedienza; ma in secondo luogo per noi, poiché è per amor nostro che Dio Te lo chiede, è per il nostro bene che Te lo chiede.

È un mare immenso, o mio Dio, la Tua Quarantena… I suoi insegnamenti sono infiniti. Poiché in essa ci presenti un tipo di vita; è uno dei tre tipi di vita perfetti, divini, ugualmente santi, che pratichi, che ci proponi con il Tuo esempio: la vita di Nazareth, la vita del deserto, la vita pubblica… Ci insegni ciò che deve essere la vita del deserto: una vita di solitudine, di contemplazione, di penitenza, di povertà… Conducendo per un certo tempo questa vita, ci insegni che le anime chiamate ad essa conducono per tutta la loro vita un genere di vita santo, perfetto, divino… E poiché la conduci solo per un certo tempo, ci mostri che, se alcune anime, in seguito a una vocazione speciale, devono condurla sempre, le altre devono condurla, come te, in una certa misura e per un tempo limitato, facendo in certi momenti fondamentali della vita, prima di atti importanti, dei ritiri nei quali, per un po’ di tempo, si raccolgono nella contemplazione, nella solitudine, nella penitenza…

Ci insegni poi che si va nel deserto per essere tentati, che non bisogna quindi né stupirsi, né spaventarsi, né scoraggiarsi, se, quando si lascia tutto per seguirti, se, quando ci si ritira nella solitudine, si è più tentati di prima: è la regola, e non è sorprendente che il demonio si attacchi tanto più a un’anima quanto più la vede decisa a servire Dio… D’altra parte, sia queste tentazioni sia la vista delle nostre imperfezioni ci appaiono in modo molto più evidente nella chiarezza della solitudine, della meditazione, della contemplazione, di quanto non apparivano quando i nostri occhi erano oscurati da mille pensieri terreni…

Ci dai dei mezzi, dei metodi per vincere le tentazioni: la fede nella parola divina, la povertà di spirito che considera come fango la terra intera e tutti i suoi beni, l’umiltà che non vuole tentare Dio e che resta all’ultimo posto, che non vuole fare grandi cose nemmeno quando ciò le sarebbe facile e produrrebbe la conversione dell’intero genere umano, se Dio non glielo ordina manifestandole chiaramente la Sua volontà al riguardo

Quest’ultima lezione è particolarmente importante; senza dubbio bisogna fare delle opere esteriori, come Gesù farà più tardi, ma soltanto quando si è chiamati da Dio, quando «è venuta l’ora»[1]Fintantoché non se ne è ricevuta chiaramente la missione da Dio, il modo di glorificarlo non è tentare di fare da sé stessi le opere che ci sembrano utili alla Sua gloria, ma restare, come Gesù, a Nazareth, come Gesù, nel deserto, all’ultimo posto, finché la mano stessa di Dio non ce ne tira fuori, se Gli piace, e ci dà chiaramente la missione per fare tale o tal altra opera…

Abbiamo sempre sotto gli occhi questo esempio, questo insegnamento di Gesù, questo esempio della Sua oscurità di Nazareth e del deserto, duplice periodo coronato e riassunto da questa parola: «Non è permesso tentare Dio»… Ora, intraprendere un’opera il cui compimento chiede delle grazie soprannaturali, senza averne ricevuto la missione da Colui che solo distribuisce queste grazie, è tentarlo…

Imitiamo San Giovanni, che ha atteso trent’anni nel deserto la missione dall’alto; imitiamo San Paolo che ha atteso per anni, prima in Arabia, poi a Tarso, l’ora di ricevere dagli uomini, rappresentanti di Dio quaggiù, questa missione di convertire i gentili, che gli era stata così chiaramente annunciata da Dio; sono stati perfetti tutti e due, perché, come lo Spirito Santo dice di San Paolo, sono stati dei «fedeli imitatori di Gesù»[2]… Imitiamo quindi soprattutto Gesù, che ha atteso, Lui, Dio, per più di trent’anni, la missione di predicare il Vangelo… Chiunque siamo, qualsiasi desiderio abbiamo, a qualsiasi cosa ci crediamo chiamati, restiamo dove siamo, limitandoci a far conoscere pienamente lo stato della nostra anima a un saggio direttore, e viviamo così, facendo ciò che dobbiamo fare ogni giorno il più perfettamente possibile, non preoccupandoci, non occupandoci minimamente dell’avvenire, né di fare altro che ciò che richiede il nostro stato nel momento presente; e per tutto il resto abbandoniamoci a Dio; se non vuole nient’altro da noi, ci lascerà sempre così e resteremo tutta la nostra vita in questo stato per Sua volontà; se vuole qualcos’altro da noi, ce lo farà conoscere, ci chiamerà autenticamente, ci darà chiaramente la missione quando il momento sarà giunto… «Non tentiamo Dio»… «Come predicheranno, se non sono inviati?»[3]… Guardiamoci bene dall’agire senza missione… Seguiamo sempre questa linea di condotta della quale Gesù ci dà qui il precetto e, per più di trent’anni, l’esempio. [4]


[1] Gv 17,1.

[2] Cfr. 1Cor 11,1.

[3] Cfr. Rm 10,15.

[4] M/270, su Lc 3,23-4,13, in C. de Foucauld, Cerco i miei amici tra i piccoli. Meditazioni sul Vangelo secondo Luca, Centro Ambrosiano, Milano 2024, 55-58.ca, Centro Ambrosiano, Milano 2024, 65-66.